Produzione TieffeTeatro Milano
Spettacolo realizzato per il 72°Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza
Regia di Emilio Russo
Con Romina Mondello, Alessandro Averone, Camilla Barbarito, Paolo Cosenza, Nicolas Errico, Giovanni Longhin, Patricia Zanco
Assistente alla Regia Claudia Donadoni
Scenografia Dario Gessati
Costumi Daniele Gelsi
Musiche Andrea Salvadori
Luci Mario Loprevite

I classici sono la riserva del futuro (Giuseppe Pontiggia)

È probabilmente un viaggio di sola andata quello verso Medea, il ritorno è tutto da decifrare, da confrontare. Eppure, indietro si dovrà pur tornare, forse provando a guardare dentro e oltre quella luce accecante del sole, meta finale del carro alato di Medea e allora perché non seguirla sino a dove sia possibile?
È lo stesso Euripide che dissemina tra le parole e le azioni della tragedia tracce di un percorso che arriva sino a noi, distratti e corrotti dalla perdita di un orizzonte etico, ma ancora sensibili, nonostante tutto e malgrado noi stessi, alla ricerca del senso e della direzione di quella “cosa” che continuiamo a chiamare umanità.
Dentro questo percorso faremo vivere la nostra Medea, convinti della forza immutata e straordinaria della narrazione euripidea, della sua tensione drammatica e minacciosa, della potente e concreta al tempo stesso costruzione dei personaggi, anche quelli solo evocati, dello sviluppo formidabile dei conflitti. Ci soffermiamo nel nostro racconto a cogliere proprio quelle tracce che conducono verso scenari e visioni di un’universalità senza tempo e senza spazio, come, ad esempio, la condizione dell’abbandono a cui è costretta Medea, senza più patria, famiglia, punti di riferimento, una gabbia dalla quale deve per forza uscire, oppure l’aspetto politico, che Euripide affronta elevando inaspettatamente Medea ad eroina portatrice dei nuovi valori contro quelli arcaici (Atene e Corinto proprio alla vigilia della sanguinosa guerra del Peloponneso e perché non oggi Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo?), difficile non leggere alla luce – o meglio al buio – dei muri d’acqua e mattoni di oggi il rifiuto verso il barbaro, il diverso “…ti guardano e ti odiano senza sapere cosa hai dentro…” così, quasi 2500 anni fa Euripide, intellettuale, profugo e incompreso diceva e faceva dire a Medea nel suo straordinario discorso alle donne corinte e così quell’urlo arriva a noi, a smuovere ancora le nostre coscienze. E ancora la doppia natura della protagonista umana e divina, che discende direttamente da una saga in cui vestiva i panni della divinità, con un suo culto, ma che nel corso della tragedia, attraverso i monologhi e gli scontri con Giasone, espone i problemi di una donna ateniese della seconda metà del V secolo, le difficoltà della sua condizione femminile e di straniera. Da una parte il divino, l’inspiegabile, l’ineluttabile nella soluzione che vede l’infanticida salvata dagli Dei e sottratta alla giusta punizione, dall’altra la quotidianità di principesse e principi vanesi che rinunciano al sentimento a favore di una scalata sociale e di una Medea, solo donna preda di una passione travolgente e incontrollabile.
Mi piace mescolare il tempo e lo spazio e cercare i personaggi anche attraverso una drammaturgia obliqua; non sempre gli attori sono scelti per ruoli predefiniti. Non in questo caso, ovviamente, dove Medea veste gli sguardi, i gesti, la voce di un’attrice di grazia, passione e talento come Romina Mondello, capace di tramutare intensità in essenzialità, di toccare la terra e guardare il cielo, di sedurre implicitamente ed esplicitamente uomini e dei per costruire un personaggio multidimensionale, che saprà essere fuori dagli schemi sorprendentemente. Si contrappone il Giasone di Alessandro Averone per raccontare il complesso dualismo di un personaggio che si fa essenza della fragilità nemico e amico, crudele e credulone, incapace di riconoscere il dubbio come antefatto della verità. A loro si accorda una compagnia di attori, musicisti, cantanti per ruoli individuali e coralità, che costruiranno una drammaturgia tra parole e musica – in linea con il mio fare e pensare teatro – per una sostanziale fedeltà al testo, amplificata con le suggestioni e le contaminazioni della partitura composta dal musicista “visionario” Andrea Salvadori (Premio Ubu 2018).

Nella Medea di Euripide, mi piace immaginare che tutto sia già avvenuto, già avvenuto perché ineluttabile, inevitabile in uno straordinario paradosso tra vita e morte, tempo sospeso, luogo non luogo. Per questo penso a Medea e gli altri personaggi in uno spazio rarefatto davanti al palazzo di Creonte, come recita la didascalia originaria di Euripide, un luogo tra terra e mare, dove amplificare anche la distanza tra i personaggi, nell’impossibilità di uscire di scena, perlomeno sino a quando la luce del Sole, di cui Medea è figlia del figlio, irromperà a sfondare le quinte dei nostri destini, devastante ma accogliente. Forse.

Emilio Russo